Gian Domenico Caiazza: La Fenomenologia di Piercamillo Davigo.

Ormai possiamo dirlo: c’è materiale a sufficienza per scrivere un libro, e per farne un caso. Sull’esempio –certo inarrivabile- della “fenomenologia di Mike Buongiorno” del grande Umberto Eco, si potrebbe sviluppare una riflessione sul valore simbolico e sul significato sociale dell’essere Piercamillo Davigo.
La pregnanza delle sue esternazioni è ormai tale da non potere essere più ignorata, per la ovvia ragione che il dott. Davigo non è un magistrato come un altro, né è solo un magistrato famoso per le sue trascorse inchieste. Egli è ad un tempo il rappresentante politico della intera magistratura italiana, e –soprattutto, dico io- il Presidente di una sezione penale della Corte di Cassazione.

Partiamo dalla più recente sua performance, come riportata dalle cronache di stampa, che non risultano in alcun modo smentite. Qualche giorno fa si è tenuta presso il Tribunale di Milano –sebbene si stenti a crederlo- una cerimonia celebrativa dei venticinque anni dell’inchiesta Mani Pulite. Non lo dico per la solita, trita e ritrita polemica tra sostenitori e detrattori di quella stagione; ognuno la pensi come meglio crede. E’ proprio l’idea in sè di celebrare una inchiesta, o meglio una serie di inchieste giudiziarie, a sembrarmi incredibilmente malinconica e francamente penosa. Cosa si festeggia, non riesco a capirlo: gli arresti, le perquisizioni, le delazioni, le condanne, cosa?

E poi, quali inchieste, tra quelle? Anche quelle conclusesi con assoluzioni? Anche quelle nei confronti degli indagati che si sono suicidati? Una idea orrenda, una idea perfettamente in linea con il Paese che siamo diventati, o siamo forse sempre stati. Ma poi non ne sono nemmeno sicuro, visto che –dicono unanimi le cronache- l’Aula Magna era desolantemente deserta. Bene, resta accesa una pur tenue fiammella di speranza: est modus in rebus.

Alle corte: come commenta il Presidente Davigo il clamoroso insuccesso della bislacca manifestazione? <<La gente è rassegnata, troppi ladri nella classe dirigente>>. E fin qui, siamo nella consueta litania, qualunquista e grossolana, che già da sola dovrebbe far decadere il titolo da sempre generosamente riconosciuto (mi piacerebbe sapere chi è stato il primo colpevole) al Nostro, di “dott. Sottile”. Questione di misure, ognuno ha la sottigliezza che si merita. Quel che è più grave –in modo strabiliante, dico io- è quello che ha affermato a seguire, e che la cronaca riporta tra virgolette: <<Ho visto assoluzioni che gridano vendetta, il codice è scritto per farla fare franca ai farabutti>>.

Il sottile, articolato, raffinato pensiero giuridico espresso dal dott. Davigo deve completarsi con quanto dal medesimo affermato, senza colpo ferire, nel corso di un “Porta a Porta” di qualche settimana fa. Non ho il testo virgolettato, ma il senso era, parola più parola meno: anche se interviene una assoluzione definitiva, questo non significa necessariamente che l’imputato fosse innocente. Che detta così, è perfino un ovvietà: stiamo parlando infatti di “verità processuale”, l’unica che deve interessare al Giudice.

Il punto è che la stessa considerazione deve necessariamente valere anche in presenza di una condanna definitiva: ma questo il Giudice di Cassazione dott. Davigo non solo non lo dice, ma quel che è spaventoso è che, ne sono certissimo, nemmeno lo pensa. Non è un polemista fazioso: è proprio il suo sincero pensiero. Come è certamente sincero quando esprime quel giudizio sul codice di Gian Domenico Pisapia, che è <<scritto per farla fare franca ai farabutti>>.

Ora, che questo sia il rappresentante politico che la Magistratura italiana ha inteso darsi, è solo un problema della Magistratura italiana. Ritengono di essere rappresentati da questo livello e da questa qualità di pensiero? Peggio per loro.

La cosa davvero allarmante, sconcertante, è che Piercamillo Davigo presiede una sezione penale della Corte di Cassazione. Dunque, egli è ai vertici del giudizio di legittimità, vale a dire del giudizio che per sua natura e definizione deve –ripeto, deve- prescindere dal merito. Il giudice di Cassazione tutto può fare, fuor che valutare se, accogliendo un ricorso che solleva questioni in puro diritto, un qualche farabutto possa farla franca. Una persona che reputi che il complesso di regole processuali sul cui rispetto rigoroso egli è chiamato per la sua funzione a vigilare, a prescindere da colpevolezza o innocenza del ricorrente, sia una trappola infame che favorisce i farabutti, beh: volete spiegarmi, santo Iddio, come possa svolgerla, quella funzione?

Ecco allora che la fenomenologia del dott. Davigo diventa la epifania del Paese che siamo: un Paese le cui istituzioni giudiziarie –penso ora al Consiglio Superiore della Magistratura- promuovono ai massimi vertici del giudizio di legittimità un magistrato che –occorre riconoscerglielo- con grande onestà intellettuale teorizza e denuncia da oltre un trentennio la intrinseca assurdità ed ingiustizia dell’idea stessa di impugnazione e, segnatamente, del ricorso per Cassazione.

C’è bisogno di dirsi altro?

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