Il Rovescio del Diritto: la pillola del 25 marzo 2017

DDL GIUSTIZIA, UNO ZIBALDONE SULL’ALTARE DELLE PRIMARIE PD
E’ francamente difficile sottrarsi alla tentazione di ritenere la partecipazione del Ministro di Giustizia Orlando alle primarie del Partito Democratico quale candidato alla segreteria, un fattore estraneo alla accelerazione impressa – a colpi di fiducia – alla approvazione parlamentare del c.d. DDL Giustizia.
Mi piace pensare che questa scelta anti-parlamentare sia stata, appunto, dettata dalla ambizione di poter partecipare a questa importante competizione politica anche con l’autorevole legittimazione di chi sia riuscito a portare a compimento, come Ministro di Giustizia, una riforma in cantiere da molti anni, e di volta in volta arricchita di nuove tematiche, imposte più spesso da esigenze politico-mediatiche che dalla effettiva necessità di interventi riformatori.
Qualunque altra giustificazione di questo autentico colpo di mano mi parrebbe più grave di questa, perché non credo si possa dubitare che sottrarre al dibattito parlamentare d’aula un intervento riformatore di questa multiforme portata, costituisca un autentico oltraggio alle regole fondative di una democrazia parlamentare degna di questo nome.
Ad onta, infatti, delle semplificazioni mediatiche, che hanno ridotto la rappresentazione di questo complesso provvedimento al solo tema dell’aumento dei tempi di prescrizione dei reati, il disegno di legge interviene, ed anche pesantemente, su una congerie disomogenea di norme, sia sostanziali che processuali, di certo non meno rilevanti: dall’aumento delle pene per i reati di furto in abitazione, di rapina e di scambio elettorale politico-mafioso, alla avocazione delle indagini già concluse, in caso di inerzia del PM nel richiedere il rinvio a giudizio; dagli interventi sui riti speciali dell’abbreviato e del patteggiamento, alla celebrazione del c.d. processo a distanza; oltre ad una miriade di altri interventi a pioggia di segno spesso contraddittorio e non di rado incongruo.
Il lungo, costante e qualificato impegno dell’Unione delle camere Penali nel coltivare una serrata interlocuzione politica con il Ministero di Giustizia ha certamente avuto il merito di sventare interventi di riforma originariamente previsti nel disegno di legge, di segno ancora più gravemente illiberale, soprattutto in tema di aumento dei tempi di prescrizione del reato e di inasprimento sanzionatorio di altre fattispecie di reato; ed ha anzi prodotto l’inserimento o la strenua e vittoriosa difesa di interventi riformatori, che pure sono presenti nel DDL, attenti alle esigenze del cittadino indagato o imputato nel processo; ma il prezzo che paghiamo con questo provvedimento alle pulsioni autoritarie ed illiberali che covano sempre più minacciose nel nostro Paese, rimane altissimo.
Questo vale innanzitutto per il processo a distanza, cioè in videoconferenza: un autentico unicum tra i sistemi processuali dei paesi democratici non solo europei, introdotto forzosamente nel DDL, che originariamente non lo prevedeva, per rendere un tributo al lavoro della Commissione Gratteri, una delle iniziative più irresponsabilmente sciagurate del Presidente del Consiglio Renzi, all’epoca mal digerita innanzitutto dal Ministero di Giustizia. Capiranno presto tutti a quali devastanti conseguenze ci porterà la insana idea di subordinare –perché questa è la ratio della riforma- l’inviolabilità del diritto di partecipazione personale dell’imputato al processo a miserabili esigenze di un (modesto) risparmio economico per le finanze pubbliche.
Ma vale anche per l’aumento dei tempi di prescrizione, una scelta follemente incompatibile con il diritto, di rango inutilmente costituzionale, dei cittadini ad una ragionevole durata del processo penale; ed all’ulteriore innalzamento dei meccanismi sanzionatori dei reati contro la proprietà ed inviolabilità del domicilio, che possono giungere a dimensioni francamente incongrue e squilibranti l’intero sistema delle sanzioni penali, in nome di una penosa, umiliante rincorsa alle più ottuse e violente parole d’ordine del tracimante populismo penale. Proprio nel momento in cui, come ricordavamo la scorsa settimana, la Corte di Cassazione ha dato un segnale esattamente contrario, mandando alla Corte Costituzionale il vaglio della eccessività della pena edittale minima fissata per il reato di spaccio di stupefacenti.
Il Ministro Orlando, che pure in questi anni ha mostrato una concreta ed a volte perfino coraggiosa attenzione ai temi cari alla cultura liberale del diritto penale, sembra ora voler a tutti i costi appuntarsi sul petto la medaglia di una riforma che inesorabilmente, con il tempo, mostrerà il volto illiberale di alcuni di questi suoi interventi nella inappellabile concretezza della quotidiana amministrazione della Giustizia; ma allora le primarie saranno un ricordo sbiadito, e con esse le responsabilità politiche di uno scempio.

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