La Camera Penale di Roma ha appreso che il Presidente dell’A.N.M. ritiene che il numero dei procedimenti pendenti dipende dal numero degli Avvocati e dalle loro attività, nonché dalla inutilità di procedere all’esame di testi nel dibattimento, essendo più che sufficienti le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria.
Le dichiarazioni in questione sono allarmanti, perché denunciano non solo la mancata conoscenza dei fenomeni evocati, quanto soprattutto la clamorosa negazione dei principi del giusto processo, consacrati nell’art. 111 della Costituzione e nell’art. 6 della CEDU.
Invero, se da un lato il numero dei procedimenti dipende ovviamente dal numero delle notizie di reato e dalle relative iscrizioni effettuate dal PM, mentre la loro durata è la endemica conseguenza di carenze di natura strutturale, come dimostrato dallo studio da noi commissionato alla Eurispes, dall’altro l’esame dei testimoni nel dibattimento nel contraddittorio tra le parti è il principio cardine del processo penale e rappresenta l’essenza stessa del giusto processo.
La Camera Penale di Roma riafferma sia che la funzione del difensore è quella di garante dei diritti individuali e della lealtà dello Stato nei confronti del cittadino, sia soprattutto che il contraddittorio costituisce la migliore garanzia per la corretta formazione della prova, essendo unanimemente riconosciuto che esso è il più affidabile strumento cognitivo e dunque quello più indicato per scongiurare il pericolo di errori giudiziari.
In definitiva, la Camera Penale di Roma ribadisce il proprio sconcerto per la concezione autoritaria ed anticostituzionale del processo penale, che l’A.N.M. ha esternato attraverso il suo Presidente e che evidentemente rispecchia un’idea diffusa tra i magistrati che lo hanno voluto al vertice della loro associazione.
Ma anche i magistrati romani la pensano alla stessa maniera? E se hanno un’idea diversa, non è doveroso manifestarla esplicitamente?
Il Direttivo