Assemblea nazionale: l’Unione chiama, Roma risponde.

Roma, 23 marzo 2017.

Mattinata intensa, caratterizzata da interventi interessanti e ricchi di spunti di riflessione in occasione dell’astensione contro il DDL giustizia, passato con la fiducia al Senato, ed attualmente all’attenzione della II commissione, in sede referente, della Camera Deputati. (C. 4368)

Eccone un breve resoconto

Ha introdotto i lavori il Presidente della Camera penale di Roma Cesare Placanica che ha focalizzato l’attenzione sui due punti più critici della riforma: il processo in video conferenza e la sospensione della prescrizione. Ha ricordato poi la figura di Ettore Randazzo ed anticipato i temi del suo successivo intervento nella riunione del Consiglio delle Camere Penali, in esito all’assemblea della Camera Penale di Roma dello scorso 20 marzo. La CPR, in particolare, ha deliberato di sollecitare la Giunta ad adottare una protesta forte, che giunga fino alla rinuncia al mandato, degli avvocati chiamati a difendere il proprio assistito in video conferenza, nonché la prosecuzione a oltranza dell’astensione.

Dopo un cenno di saluto del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Mauro Vaglio, ha preso la parola il prof. Luigi Stortoni per denunciare le evidenti criticità della legge di riforma in tema di prescrizione. La legge è quasi “una erosione compiacente”, in realtà è un cedimento che prelude a smottamenti maggiori. La realtà è la tendenza dei giudici a non voler più vedere gli imputati in faccia. L’aumento dei termini di prescrizione allunga i tempi del processo e ne incentiva la stagnazione. È evidente la tendenza nella nostra società alla riduzione delle garanzie. Il legislatore abdica alla sua funzione consentendo un’allargamento incondizionato della giurisprudenza. Il modello è quello di soddisfare il desiderio dei giudici e dei pubblici ministeri di avere indagati o imputati per sempre. È chiara la finalità di un controllo penale allargato a discapito delle garanzie.
Aumentare la prescrizione è come dare più soldi al figliol prodigo o – per dirla col prof. Padovani – curare l’alcolista con più botti di vino.

 

E’ seguito l’intervento del prof. Luca Marafioti, responsabile del centro studi Alberto Pisani della Camera penale di Roma, che ha qualificato il provvedimento come un ulteriore passo verso il declino della legge in favore di una crescita smodata del diritto giurisprudenziale. Si tratta peraltro di una legislazione di origine giurisprudenziale. Ci troviamo oramai costantemente davanti alla legislazione “stampella o cerotto”, che legittima ex post prassi giurisprudenziali insorte sulla gestione del processo. Il disegno di legge contiene peraltro norme inutili. Le norme sulla prescrizione sterilizzano i tempi morti della fase delle impugnazioni, che vengono addossati all’imputato. Per rispondere a un diritto alla prescrizione, che si ritiene non disegnato costituzionalmente e, di fatto, non esistente, si sancisce il principio che la speditezza del processo non è un diritto dell’imputato perché egli non deve lucrare alcunchè dai tempi morti del processo. La speditezza del processo non sarebbe dunque un dovere dello Stato, che non deve, pertanto, farsene carico. L’efficienza e la rapidità non è una garanzia. Anche il processo a distanza presenta gravissime criticità. Ogni regime autoritario colpisce per primi due “diritti di libertà”: la manifestazione del pensiero e la difesa. Questo sta accadendo ora. Sembra essere un’estrinsecazione del monopolio culturale sull’idea del diritto penale e del processo. Il monopolio culturale si salda con il monopolio delle Procure. Serve una battaglia senza nessun passo indietro insieme alla separazione delle carriere!

Anche Arturo Diaconale, consigliere di amministrazione RAI, Direttore de l’Opinione, si è soffermato sul tema del monopolio culturale: lo stato alla ricerca di colpe sempre e a tempo indeterminato. La questione di fiducia sul provvedimento è stata una vergogna, un arrogante forma di autoritarismo. Il rischio è rendere inutile la fase processuale. La battaglia si può fare sulle singole questioni, ma serve una battaglia di fondo sul monopolio culturale. Il Paese deve uscire dalla crisi morale dei valori di questo populismo giudiziario. Non è una battaglia semplice, ma ruoli come quello dell’avvocato penalista, portatore di questi valori, non può sottrarvisi.
Graditissima ospite, Rita Bernardini ha richiamato l’attenzione sulla circostanza che sono in gioco diritti umani: in particolare il diritto di difesa. Nonostante l’Italia sia stata condzannata più volte dalla Corte Europea per la violazione della irragionevole durata dei processi, il legislatore ne prolunga la durata. La rivoluzione culturale è nelle parole che furono di Marco Pannella: la politica o è cultura o non è. Oggi la politica non è cultura perché ha abdicato al suo ruolo. Manifestazioni come quella di oggi meritano una maggiore eco mediatica. Ci ritroviamo nei fatti a marciare insieme: radicali e penalisti. I Radicali avevano chiesto al Ministro Orlando lo stralcio della parte di legge dedicata all’ordinamento penitenziario, ma senza una risposta. Occorre attivare gli strumenti che la Costituzione ci offre: la legge di riforma costituzionale per la separazione delle carriere. Dobbiamo raccogliere le firme, ma molte di più delle 50.000 necessarie.

Armando Veneto, Presidente del Consiglio delle Camere Penali, ha denunciato la svolta autoritaria oramai sotto gli occhi di tutti e che la legge di riforma non fa altro che confermare. La nostra battaglia è quella di dare dignità al giudice italiano sottraendolo alla prepotenza del pubblico ministero. Esempio ne sia l’aggravamento delle pene per alcuni reati.

Il Presidente di UCPI, Beniamino Migliucci, ha infine sottolineato che il tema di fondo è quello di capire il perché dell’essersi riuniti, ripercorrendo le tappe del percorso. La prima astensione risale all’epoca del processo Mafia Capitale, seguita da un’altra nel maggio 2016, anche alla presenza di vari politici. Le camere penali hanno lavorato per cercare di migliorare il testo della riforma e alcune modifiche sono state apportate all’esito delle interlocuzioni degli avvocati. C’è stata l’imprevista accelerazione politica verso il voto di fiducia. Da qui la necessità di una presa di posizione forte. Il metodo legislativo non è corretto. Il percorso politico è un’altra astensione proclamata per la settimana dal 10 al 14 aprile. L’Unione ha coerentemente fatto ciò che aveva fatto in precedenza cercando di ottenere una modifica di merito e di metodo. Noi dobbiamo continuare nella battaglia. Da almeno 25/30 anni cerchiamo un mezzo diverso dall’astensione ma non lo troviamo per rinvigorire la tensione culturale dell’avvocatura. Rimettiamo al centro dell’agenda politica la separazione delle carriere.

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