Più braccialetti, meno carcere, verso una visione costituzionale delle pene. Il carcere è, nel nostro sistema ordinamentale, concepito come extrema ratio, quando ogni altra misura risulti inadeguata.
L’art. 27 della Costituzione parla, infatti di “pene” sancendo l’utilità di strumenti sanzionatori diversi da rapportare alle specifiche esigenze del singolo in relazione alle necessità di tutela della sicurezza sociale.
Va, dunque – anche in risposta al costante dramma del sovraffollamento carcerario, alla tragedia sempre più opprimente dei suicidi negli istituti di pena, alle condizioni in cui opera il personale di Polizia Penitenziaria – incentivato l’approdo alle misure alternative al carcere.
E’, peraltro, dimostrato da indagini statistiche che i tassi di recidiva del reo si riducono considerevolmente quando lo stesso perviene alla libertà piena dopo un periodo trascorso patendo sanzioni più miti della carcerazione, attraverso una restituzione graduale al tessuto sociale che ne agevola la reintegrazione, mentre è dimostrato che la persona che abbia espiato per intero in carcere la propria condanna viene rimessa in società senza gli strumenti idonei a ripristinare un percorso di vita normoinserito ed autonomo e, dunque, più facilmente indulge alla seduzione di una condotta recidivante.