Morte a Rebibbia, il comunicato stampa della CPR

Comunicato della Camera Penale di Roma

E’ di pochi giorni fa l’ennesima drammatica notizia proveniente da un istituto penitenziario.
Una giovane madre malata, che aveva deciso di condurre con se’ i propri figli minori onde accudirli in abito inframurario, in un momento di estrema disperazione, dettato dal proprio stato detentivo, ha ucciso la più piccola dei suoi figli, di appena sei mesi, e ha tentato di uccidere il più grande, di un anno e sette mesi, provocandone la morte celebrale.

Il tutto è accaduto in un istituto di pena ritenuto adeguato ad ospitare giovani madri che non intendono separarsi dai propri figli.

Ora si cercheranno i responsabili di una tragedia che poteva essere certamente evitata.

Si sosterrà che era necessaria una maggiore vigilanza, e che in ogni caso la Casa Circondariale Femminile di Roma Rebibbia aveva tutti i requisiti per garantire la serena crescita dei minori senza allontanarli dalla madre.

Viene però legittimamente da chiedersi perché una giovane donna, affetta da una seria forma di depressione e due bambini in tenera età, siano stati di fatto abbandonati al proprio destino e come si sia potuto non cogliere il disagio che caratterizzava la sua detenzione.
Continuiamo a pensare che le strutture penitenziarie dovrebbero essere un luogo di redenzione e debbano fornire adeguate opportunità trattamentali.

Continuiamo a ritenere che la custodia cautelare in carcere rappresenti l’extrema ratio cui ricorrere quando ogni altra misura cautelare risulti non in grado di tutelare le esigenze del caso concreto. Tanto più che nel caso specifico la norma procedurale esclude la possibilità di applicare la custodia in carcere salvo l’esistenza di eccezionali esigenze cautelari.

Continuiamo a ribadire che all’interno di una struttura penitenziaria debbano essere garantite assistenza e cure.

Continuiamo a pensare che un depresso, un infermo psichico, una persona in condizioni di disagio, un soggetto malato, non debbano essere reclusi in quanto il carcere non garantisce la dovuta assistenza.

Continuiamo a ribadire, tragedia dopo tragedia, che i malati non si curano con il carcere.

E constatiamo, invece, che le strutture penitenziarie divengono sempre più spesso luoghi di morte, luoghi ove lo spirito, le aspettative e le ambizioni di ogni detenuto che voglia recuperarsi alla collettività o che intenda curarsi, vengono costantemente mortificate.

La drammaticità dei fatti non consente ipocrisie e quindi sentiamo il dovere di aggiungere che tra i responsabili di questa incresciosa situazione, che la Camera Penale di Roma denuncia da tempo con fermezza, c’è anche una visione carcerocentrica che una parte della Magistratura ha della funzione della custodia cautelare e della espiazione della pena e la mancata interlocuzione con un Governo che, invece di implementare le misure alternative alla detenzione e strumenti atti ad evitare percorsi ed esperienze inframurarie, minaccia provvedimenti legislativi di rigore che tali misure limitino ulteriormente.

È una sensibilità che all’evidenza non abbiamo solo noi, se è vero che con il plauso esplicito dello stesso Presidente della Repubblica, l’attuale Presidente della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, ha avvertito l’esigenza di portare l’intera Corte in carcere, per parlare dei diritti primari, evidentemente denegati, dei detenuti.

A queste precise responsabilità, in autorevole compagnia, richiamiamo quindi ancora una volta sia il Governo che la Magistratura nella speranza di una presa di coscienza che inevitabilmente passa per un diverso approccio alle misure cautelari e alla fase dell’espiazione della pena, oltre che attraverso l’approvazione di una riforma che seppure volgarmente definita “svuotacarceri” dallo stesso capo del D.A.P., sopperiva a lacune ed emergenze non più rinviabili.

Per quanto ci riguarda continueremo a vigilare sulla incresciosa situazione in cui versano le strutture penitenziarie e approfondiremo questa drammatica vicenda segnalando ai competenti uffici ogni aspetto che riterremmo censurabile.

Il Direttivo della Camera Penale di Roma

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